tradimenti
Silvana la MILF moglie del povero Mario
di StraneEmozioni
21.08.2024 |
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"Gli altri facevano una ronda nel piccolo complesso, armati di fucili a pompa, pistole e torce..."
Premessa.Questo mese di agosto 2024 ho deciso di farmi e di fare un regalo ai miei lettori, scrivendo dei racconti.
Domani, 22 agosto, vivrò una esperienza per me fondamentale e con essa, dopo un lungo ponte di vacanza all’estero, da lunedì ricomincerò a dedicarmi alla mia azienda ed alle persone che vi lavorano, ai miei clienti.
Scrivere richiede tempo, scrivere bene ancora di più. Costringe a riflettere, a comprendersi meglio, a scavare.
Scrivere di sesso significa andare a fondo dentro se stessi: perché ci piace qualcosa, perché ci eccitano delle situazioni mentre altri le giudicano insignificanti o addirittura ripugnanti?
Vi lascio con questa ultima memoria che risale a qualche anno fa.
Ps: smetto per un po’ di scrivere, ma non di desiderare, sfidando la vita. Buon divertimento a tutti.
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2004 - una ex colonia francese
Il villaggio di espatriati era composto a ferro di cavallo. Sul lato sud vi erano gli spazi comuni: la mensa ristorante, nel quale si consumavano tutti i pasti cucinati sul posto secondo un calendario ed un menù deciso dalla signora Rossi, moglie di uno degli espatriati più anziani, Mario. Sullo stesso lato e nel prolungamento dello stesso edificio, vi era il club: sala biliardo, sala cinema, ed un salone per le feste ed i ricevimenti.
Il lato est del ferro di cavallo era quello aperto e affacciava sulla bellissima valle di terra rossa e vegetazione sub tropicale. Sugli altri due lati, il nord ed ovest, sorgevano le villette degli espatriati, quelli che abitavano nel campo perché lo preferivano a vivere in ville isolate che potevano essere più spaziose ma meno pratiche.
Lo stile era quello coloniale tipico, con tetti in legno rivestiti in rafia, pareti bianche, infissi in legno di palissandro.
Dal mio arrivo, un paio di settimane prima, ero solito restare al campo per svolgere la mia attività lavorativa, perché potevo restare in contatto via radio e telefonico con i siti produttivi più remoti che in caso di necessità potevo raggiungere in aereo, elicottero, in fuoristrada o una combinazione di tutti questi mezzi.
Cercavamo metalli pregiati, con un team di geologi e di ingegneri.
La signora Rossi, cinquant’anni circa, la metà dei quali passati in paesi stranieri seguendo suo marito capo cantiere in cave du rame, oro, e chissà quanti altri metalli, aveva affinato la capacità di organizzare un campo espatriati dal nulla.
Ormai da anni, come per le truppe di invasione americane, lei partiva molto prima di suo marito: sceglieva gli edifici da ristrutturare o i terreni sui quali costruire, accompagnata da un team di tecnici alle sue dipendenze, assumeva la servitù, acquistava il mobilio, gli elettrodomestici, faceva accordi con i fornitori locali per assicurarsi cibo, acqua, persino alcool nei paesi dove era proibito ma consentito secondo certi permessi rilasciati dalle autorità a poter “acquistare e consumare solo in spazi privati” rilasciati a non musulmani.
Suo marito, Mario, passava molti giorni su territori lontani e cosi la povera signora Rossi ed io, all’epoca poco più che trentenne, avemmo modo di passare molto tempo insieme.
Una domenica pomeriggio piuttosto noiosa la stavamo trascorrendo da soli guardando, in collegamento satellitare, Valentino Rossi in gara all’epoca d’oro del motociclista.
La gara era poco stimolante, avevamo pranzato e i pochi altri commensali si erano ritirati nelle loro abitazioni per la siesta, più o meno da soli se non accompagnati da qualche prostituta locale che i guardiani indirizzavano dalla guardiola verso la casa giusta.
All’improvviso Silvana, questo il nome della signora Rossi, si alzò dalla sua poltrona, si piegò su di me e mi infilò la lingua in bocca muovendola voracemente e velocemente come un serpente.
Mi lasciò di stucco, non avevo mai avuto nemmeno la minima avvisaglia o impressione che fosse interessata a me.
Era una donna che fino a quel momento avevo considerato insignificante ed irrilevante sotto l’aspetto sessuale.
Come si era avvicinata si allontanò, lasciandomi basito e con il cazzo duro, assicurandosi prima che fosse tale poggiandoci il palmo sopra.
Si sedette di nuovo sulla sua poltrona e riprese a guardare la gara, la tradiva solo il respiro profondo, evidentemente dovuto al momento di eccitazione.
Eccitato dalla situazione assurda feci per alzarmi e replicare, ma lei mi fermò con un gesto: “no, ci sono le persone in giro, stasera da me”.
La sera i guardiani si dividevano i compiti: due erano in guardiola chiusi dietro i vetri antiproiettile, perché in caso di attacchi di banditi o ribelli potessero dare l’allarme via radio al sicuro dai proiettili.
Gli altri facevano una ronda nel piccolo complesso, armati di fucili a pompa, pistole e torce.
La casa di Silvana era la più grande e per raggiungerla dovevo attraversare il pratone centrale, completamente esposto, e le guardie avrebbero visto tutto.
Uscii allora in veranda e mi misi a chiacchierare con loro.
Ad un certo punto, parlando in francese, finsi di aver udito rumori nella zona dei garage dove tenevamo le quattro range rover nuove di zecca.
“Allez voir, s’il vous plaît”, andate a vedere per favore.
I due neri, obbedienti al direttore, si diressero verso i garage che erano fuori dal ferro di cavallo degli edifici e in basso di due terrapieni: almeno cinque minuti per andare e per tornare. Li seguii per i primi metri e non appena li vidi scendere sotto il primo terrapieno mi spostai lateralmente sulla veranda di silvana e bussai delicatamente.
La donna aveva osservato tutta la scena da dietro una finestra ed apri immediatamente.
Il desiderio era feroce e selvaggio, quell’antipasto della pausa pranzo ci aveva lasciati eccitati.
Sesso, si trattava di sesso, solo quello. Mi infilò di nuovo la lingua in bocca, di nuovo baci languidi, bagnatissimi, con tanta saliva.
Mi slacciò i jeans, tirò fuori il mio cazzo già duro e vi si avventò sopra vorace. Faceva avanti ed indietro con la testa tenendo il cazzo alla base con una mano. Un pompino asciutto, ingioiava la saliva. Le tirai via la canottiera che indossava per avere la conferma che non avesse assolutamente seno, zero, piatta. Aveva solo due capezzoli enormi e scuri.
Si alzò, mi prese per mano e sempre al buio mi portò in camera da letto.
“Se entra qualcuno ti nascondi in bagno ed esci dalla finestra, ok!”, disse girando la chiave mettendoci al sicuro da eventuali imprevedibili sorprese. Non da parte di suo marito che era al nord del paese e sarebbe rientrato solo dopo qualche giorno.
Arrivati davanti al letto Silvana mi ricordò tanto zia Teresa: spalancò le cosce senza nemmeno togliere la gonna e spostando le mutandine mi implorò: “leccamela, ne ho tanto bisogno”.
La fica era pelosa, con delle grosse labbra, una clitoride notevole. Era già bagnata e presi a leccarla tenendo le due grandi labbra spalancate per evitare i peli. Silvana si muoveva ritmicamente, la situazione era selvaggia, il rischio di essere scoperti, di dover fare velocemente aumentava l’eccitazione.
Quando le passai la lingua sul culo trasalì: “si, mi piace, leccamelo”.
Tenendole le piccole natiche divaricate mi dedicai per bene, mentre lei affondava due dita nella fica pelosa. Anche l’ano aveva una leggera peluria intorno, ma non era il caso di fare i difficili viste le circostanze e poi alla fine non era per niente male.
La porca vi spruzzò addosso non appena alle sue due dita nella fica aggiunsi il mio indice nel suo culo. Sollevò il bacino tenendosi con la pianta dei piedi sul bordo del letto, poggiata su un gomito e mi donò la prima squirtata mai vista in vita mia, prima di sapere che si chiamasse proprio così, qualche anno dopo.
Silvana si inginocchiò, porgendomi la sua pecorina da donna arrapata. Non tolse mai la gonna quella sera. Nel penetrarla a pelle sentivo la sua fica morbida e larga, e quando passai il pollice sull’ano lo spinsi dentro senza fatica. Lei piegò la testa all’indietro e si limitò a dire “quanto cazzo mi piace che mi metti le dita nel culo”.
“Posso scopartelo?”, mi venne naturale.
“Dai, ficcalo dentro, bagnalo prima, sbrigati”.
Mi dedicai con cura, inginocchiato, a prepararla per essere inculata con dolcezza. Leccare il culo alla moglie di un collaboratore, io giovane direttore, quello che avrebbe dovuto dare l’esempio e lei, la persona di fiducia, stavamo una in ginocchio e l’altro con la lingua e le mani nel culo dell’altra. Quanto può bruciare il desiderio così, quanto rumore fa dentro la testa e dentro lo stomaco polverizzare i tabù, ribellarsi alla monotonia?
Nessun romanticismo, ma carne buona, saljva e sperma, umori di fica, persino succo dal culo.
Entrai senza difficoltà, il mio cazzo non è lungo ma piuttosto largo, il massimo del piacere.
Silvana assunse un posa poco elegante, le ginocchia allargate in una pecorina lasciva, da vacca montata: mi poggiavo sui suoi fianchi perché mi chiedeva di più e dovevo assicurarmi di far entrare fino all’ultimo millimetro.
Si voltò per prenderlo in bocca, se lo infilò e poi si ritrasse: “è merda”, disse alzandosi dal letto e tirandomi per il cazzo in bagno.
“Laviamoci così ricominciamo “.
Fu con lei che imparai a non schifarmi, lei che con nonchalance quando le dita o il cazzo si sporcavano semplicemente faceva un pit stop e riprendeva da dove aveva interrotto.
Rimasi tre mesi in quel paese che non nomino per non dare troppe informazioni, e Silvana fu il mio passatempo ed io il suo. Tirai fuori da lei, io già da tanto libertino dentro, una volgarità durante gli atti che la liberavano dalla sua rabbia per una vita da vagabonda.
Fra di noi era ormai bello il turpiloquio pesante: mi eccitava quando mi sussurrava in un orecchio “stasera voglio il cazzo dentro, devi farmi schizzare la merda dalla testa”. Oppure quando chiamava “fregna” la sua vagina, volutamente volgare. “Mi hai aperto la fregna”, “leccami la fregna”.
Ed io mi liberavo altrettanto dei miei istinti.
Una sera mi chiese di non andare: “devo darla ad uno che vedo ogni tanto”. Ne fui quasi geloso, quella sera uscii anche io e andai al cinese nella capitale. Mi portai a casa due puttane sedute ad un tavolo insieme alle “colleghe”.
La mattina dopo a colazione Silvana le vide uscire dalla mia abitazione mentre, sotto una pioggia tropicale inusuale per l’orario, salivano in auto mentre il mio autista, complice, le proteggeva con l’ombrello.
“Se scopi con quelle, con me non scopi più, direttore”, mi disse sedendosi davanti a me con il suo caffè.
“Io scopo con chi mi pare come fai tu”, le riposi.
“Io non ho scopato ieri”, mi disse, gli occhi lucidi.
“Scusami allora”.
Non successe più di farci dispetti, e ci divertivamo a prendere in giro gli inconsapevoli.
Il trucco per i guardiani aveva funzionato una sola volta. Non poteva ripetersi. L’accortezza usata fu di usare una scusa. Ci inventammo che li avevo visti spiare attraverso le finestre e che quindi dovevano restare nel perimetro di cinta e intorno alla guardiola, ma non entrare nel ferro di cavallo se non chiamati.
Ho rivisto Silvana a Roma, ormai sessantacinquenne, qualche tempo fa. È stato bello rivivere quei momenti e quella passione dopo un aperitivo all’hotel Locarno in Via della Penna, le due stanze eleganti ai piani superiori dove fu facile rivedersi.
Nello stesso hotel Sarah, la mia fidanzata francese, aveva realizzato la sua fantasia di uno sconosciuto che l’aveva sedotta al bancone mentre io li raggiungevo in camera e li scoprivo per poi lanciarci in un trio. Ma questa è un’altra storia, magari per la prossima estate.
——
Grazie per avermi letto, non perdiamoci di vista.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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